sabato 23 settembre 2017

Le sette Terre Cave

Gli immancabili “cover-up” da una parte, l’impropria considerazione riservata all’autentico significato di “Miti” (Mythos = “Annuncio” o “Parola rivelata” che si proponeva d’identificarsi con la stessa realtà delle cose) tramandati per millenni dai popoli della Terra e la caparbietà di volerli assolutamente ambientati fuori post, dall’altra; con una buona dose d’ignoranza nel mezzo, hanno fatto sì che tutto ciò che ci è stato accuratamente tramandato fosse equiparato ad assurde fantasie, a insulsaggini, a “favole” come “Biancaneve e i Sette nani” che anch’essa favola assolutamente non è.

Certamente, quando si parla dell’Antiterra descritta dal pitagorico Filolao (470-390 a.C.), dall’eredità aristotelica (Aristotele 384-322 a.C.) fino ad arrivare alla moderna Wikipedia, pare si voglia mandare l’intelligenza a tenere compagnia ai glutei! E, i ricercatori seri sono etichettati come… “alternativi”. Le motivazioni sono chiare: tutti hanno interesse che, sull’argomento, sia mantenuto il più assoluto riserbo.

Questa era anche la regola imposta da Pitagora (580/570-495 a.C.) laddove, ai suoi discepoli, era proibito parlare, soprattutto, di tutto ciò che potesse riguardare gli “dei” (In modo definitivo e, per sempre: gli “dei” non sono mai esistiti e quando si attribuisce qualche fenomeno naturale alle “punizioni di Dio” è solo per l’imperante ignoranza!).

In ogni caso, nulla è mai trapelato dalla scuola pitagorica di Crotone su quanto appreso, approfondito in anni di studi e iniziazioni presso sacerdoti egizi, greci e babilonesi, e trasmesso dal Maestro a una ristretta cerchia di discepoli. Giuseppe Flavio (37/38-100 d.C.), inoltre, afferma (in “Antichità Giudaiche” I – 2,8) che Pitagora avesse scoperto i grandi misteri del nostro Pianeta e, apprese tutte le scienze, leggendo direttamente le iscrizioni incise su due pilastri antichissimi, fatti risalire a prima del Diluvio universale...


Questo Diluvio, poi, per com’è descritto nelle cinquecento diverse versioni conosciute «di cui sessantadue completamente indipendenti (Dr Richard Andree)», non può assolutamente essere accaduto sulla nostra superficie, giacché il ciclo dell’acqua piovana è chiuso.

Siccome è più plausibile una sorta di “travaso” (Si aprirono le cateratte del cielo) da uno strato superiore a un altro inferiore, Pitagora può avere visto i due pilastri (sui quali era incisa, come recita la storia, tutta l’antica conoscenza per preservarla dall’imminente diluvio) soltanto in uno dei “mondi sotterranei”.

L’osservanza del silenzio tra i pitagorici durò fintantoché, dopo la congiura orchestrata (si dice) da un certo Cilone, essendo scampati alla morte solo i tarantini Archippo e Liside, un discepolo di quest’ultimo di nome Filolao, preso dalla fame secondo Giamblico di Calcide (250-330 ca. d.C.), non scrisse un libro su quanto appreso, facendoselo pagare una fortuna (uno degli acquirenti fu Platone). Chiaramente, Filolao non fu il solo a diffondere i segreti dei pitagorici. Diogene Laerzio (180-240 d.C.) afferma che Empedocle (V sec a.C.) avesse divulgato la stessa dottrina attraverso le sue poesie (“Vite dei filosofi” VIII – 54,55. Una delle fonti principali sulla storia della filosofia greca).

Ciò che qui interessa, dei contenuti di questo libro, è quello che riguarda il “Kosmos“, quello che noi, comunemente, chiamiamo Universo. Ed è proprio da qui, da questo Kosmos, che è partita la “Questione Filolaica“, spodestando la Terra dalla sua posizione geocentrica (Anche la Fisica Classica, infatti, dimostra dati alla mano il geocentrismo. La Nuova Fisica, invece, con una reinterpretazione paradossale dei dati scoperti, insegna l’eliocentrismo ma, alla fine, solo come filosofia imposta). Possiamo a ragione affermare, quindi, che il geocentrismo fu scalzato volutamente per ragioni filosofiche (Una sorta di ateismo epistemologico) e l’interpretazione di quel “Kosmos” stravolta altrettanto volutamente, giacché Filolao fu molto preciso nella sua descrizione cosmologica, come riportò il dossografo Aezio (I o II Sec. d.C.), uno dei suoi principali commentatori: «Per Filolao, un fuoco nel mezzo, al centro, ch’egli chiama “Focolare” del Tutto, e “Casa di Zeus”, e “Madre degli dei”, nonché “Altare”, “Concentrazione” e “Misura della natura”; ed ancora un differente fuoco nella zona più alta, l’involucro(Quello che è conosciuto come crosta terrestre).


Primo poi sarebbe per natura il fuoco mediano (Il “fuoco del focolare” che sta in mezzo, cioè al centro), ed intorno a esso farebbero le loro evoluzioni (“evoluzioni” non significa che orbitino come apparirebbe nello schema) dieci corpi divini: (Dopo la sfera degli astri fissi) i cinque erranti (I cinque pianeti conosciuti dai greci: “Planètes” in greco significa “Errante“), dopo i quali il Sole, sotto il quale la luna, sotto la quale la terra, sotto la quale l’Antiterra (In greco antico: Αντίχθων “Antichthon“); dopo tutti quanti i quali il fuoco del focolare, che tiene la posizione nella zona centrale». 

Con una descrizione così particolareggiata, anche un bambino comprenderebbe che il “Fuoco centrale” è il centro di tutto ed è quello che oggi conosciamo come “Inner Core” e che l’Antiterra è posta tra questo e la nostra superficie della Terra.

L’Antiterra, quella “Terra Cava” la cui esistenza nessuno ammetterebbe mai pubblicamente, anche perché, lo stesso Aezio, fa nascere un problema molto scottante, precisando che è un «luogo abitabile, o abitato»!

Per Aristotele (“De Caelo” 293 a23, b21) e, per quanti dopo di lui invece, Filolao, che dimostrò di ben conoscere anche la sfericità della Terra a differenza di tanti altri suoi contemporanei, fu un visionario da non prendere in considerazione, perché nessuno è mai riuscito a trovare ciò che si pretendeva fosse in un luogo diverso da quello genuinamente inserito e, descritto. A ben vedere, se si prendono in considerazione i miti di tanti popoli, sparsi un po’ ovunque sulla Terra e, difficilmente tutti entrati in stretto contatto tra loro, di “visionari” come Filolao ce ne sono tantissimi… anche adesso.

Trattare in questa, o in altra sede, in modo approfondito tutti i miti, le leggende e i racconti dei popoli della Terra, sarebbe un’impresa disperata ma, quanti hanno dedicato la loro vita allo studio della storia delle religioni e, della mitologia, sono consapevoli che l’idea di un’origine dell’uomo all’interno del Pianeta, sia una sacrosanta verità. 

In ogni caso, Eschimesi, Greci, Iraniani, Vietnamiti, Giapponesi, Tibetani, Sumeri, Egizi, Galli, Celti, Aranda (Oceania centrale), Boscimani (Africa australe), Pellerossa americani (Delaware, Apache Jicarilla, Navajo, Hopi, Sioux, Mandan), Taino (Grandi Antille), Messicani, Maya-Quichè, Aztechi, Incas, ecc… conservano tutti, nelle loro rispettive tradizioni, la stessa visione delle loro origini: una sorta di “emersione”, da una terra sotterranea, dov’erano “maturati” per lungo tempo, passando in superficie attraversando un “cielo solido” (Grosso scoglio interpretativo per molti). 

Gli Eschimesi, in particolare, indicano ancora oggi il Nord come il loro luogo d’origine e sostengono di provenire da una terra paradisiaca, illuminata da una luce particolare e posta all’interno di una cavità del nostro Pianeta. Le singole tradizioni sono interessantissime ma, lo spazio è esiguo e tanti sono gli argomenti, quindi chi volesse approfondire può farlo anche da solo.

<-- La Mappa del mondo “Mappa Mundi” babilonese (c. 500 a.C.)

Ciò che conta è che l’esistenza, di una o più Terre Cave, possa armonizzare, oltre le suddette tradizioni, tutto ciò che, ostinatamente inserito nel nostro ambiente cosiddetto di “superficie”, può sembrare completamente assurdo, tipo: il giardino dell’Eden e la longevità di certi personaggi biblici (Si veda l’iranico “Airyana Vaejo” e William Warren “Paradise Found” – 1885 – pag. 47: «La culla della razza umana, l’Eden delle tradizioni mitologiche, si trovava al polo nord»); la torre di Babele (Per raggiungere concretamente il “cielo solido” presunta dimora degli “dei“); 
il mappamondo babilonese (VII sec. a.C. ca.); la biblica creazione di un firmamento per separare le acque di sopra da quelle di sotto; la creazione dei luminari del firmamento (Dopo il “Fiat Lux e la luce fu“), per separare nuovamente la luce dalle tenebre; ecc… ecc… (Firmamento = dal latino “firmus” che significa “solido”.

Persino Wikipedia, citando P.H. Seely [pdf], pone in grande evidenza che: «Con il termine “firmamento” s’indicava il cielo considerato come una cupola solida, alla quale erano rigidamente collegate le stelle; una concezione condivisa da tutti i popoli antichi di tutti i continenti»). In questo modo, tutto assume un aspetto logico e trova, senza forzature, la sua giusta sistemazione spaziale e temporale. 
In verità, pure moltissimi scienziati illustri, in passato, hanno formulato le stesse conclusioni per spiegare dei fenomeni che sulla nostra Terra convenzionale non si riuscivano a giustificare.

Anche noi possiamo aggiungere a queste, ormai non più, “stranezze”, informazioni a supporto di una o più Terre Cave. Gli Aztechi dell’ultima generazione, per esempio, non ebbero alcuna esitazione nell’indicare a Cortez (XVI sec. d.C.) da dove fosse possibile estrarre i metalli, indicando il cielo. Questo, perché i loro antenati avevano visto e toccato con mano tale realtà e, in mancanza di mezzi adeguati per accertarsene direttamente, non avevano alcun motivo di dubitare delle loro affermazioni. 
C’è da aggiungere, in proposito, che nell’antica lingua egizia il ferro era chiamato “BJA“, una parola che letteralmente significava “metallo del cielo” (Per i Sumeri, invece, il “metallo del cielo” era lo stagno che, in ogni caso, non cambia ciò che si vuole dimostrare).

Nel 1692, com’è abbastanza noto, Edmund Halley (1656-1742 d.C.) teorizzò, dopo vent’anni di studi, che all’interno della Terra ci fossero dei “gusci” delle dimensioni dei pianeti Venere, Marte e Mercurio, separati da un’atmosfera luminescente e che detti continenti interni fossero abitati. Halley si convinse, dopo lunghi studi ed esperimenti, che l’interno del nostro Pianeta fosse una sorta di galassia in miniatura!

Nel 1818, John Cleves Symmes, Jr. (Capitano di fanteria americano) avanzò l’ipotesi che la Terra fosse formata da un guscio cavo di 1300 km di spessore, con due cavità di 2300 km di diametro su entrambi i poli geografici (Le conferme sono arrivate con le sonde spaziali, come vedremo in seguito). Per Symmes, oltre alla crosta esterna ci sarebbero quattro gusci interni, abitabili, anch’essi con aperture ai Poli. Anche questi dati trovano conferma nell’apparato mitologico americano, dove esistono riferimenti precisi sull’esistenza di più mondi sovrapposti. Ugualmente, i Navajo si caratterizzano per la loro cosmologia che prevede l’esistenza di quattro mondi sotterranei, strutturati su più livelli, tre dei quali sarebbero stati distrutti da vari cataclismi e solo il più esterno, “Nihodilgil“, sarebbe ancora intatto.

Più tardi, nel 1871, sette anni dopo la pubblicazione di “Viaggio al centro della terra” di Jules Verne, fu pubblicato, dall’autore Bulwer Lytton, “The coming race“. 
Il lato interessante di questo libro, che non ottenne alcun successo per ovvi motivi, è la descrizione di una società tecnologicamente avanzata con la quale Lytton entrò casualmente in contatto, autodefinitasi “Vril-ya”, che si sarebbe rifugiata nel sottosuolo, per sfuggire a spaventosi cataclismi avvenuti in superficie molto tempo prima.

Interessanti anche le osservazioni riportate da William Reed in “Phantom of the Poles” (1906), che portò, a sostegno delle medesime, i racconti di alcuni famosi esploratori polari dell’epoca, tra cui Louis Bernacchi, Fridtjof Nansen, Karl Mauch, Adolphus W. Greely, Allen Henry e altri, i quali rimasero sbigottiti dal fatto che l’ago della bussola tendesse con forza a porsi verticalmente. 
Da questi resoconti, Reed arrivò a sostenere che i Poli non fossero mai stati scoperti in realtà, semplicemente perché non esistono: al loro posto si troverebbe un enorme buco con il passaggio diretto al “Continente Interno” (Si veda quanto suddetto a proposito di Symmes). Altro argomento di stupore per gli esploratori furono gli enormi iceberg di acqua dolce e non salata. 
Quando, poi, Robert B. Cook rinvenne negli strati glaciali i resti di mammut perfettamente conservati, Marshall Gardner (Autore di: “A Journey to the Earth’s Interior” – 1913), affermò che non era possibile che un reperto fosse rimasto integro così a lungo e che, quelli trovati, sarebbero stati i resti di creature morte di recente dopo essere sfuggite dal “Continente Interno”. (Si rammenta che la presenza di mammut al pascolo è ampiamente riportata nell’arcinoto diario di bordo dell’ammiraglio americano Richard Evelin Byrd – 19/02/1947 ore 10:05 – che eviterò di citare in seguito, a parte qualche particolare, per non dilungarmi troppo).

Recentemente, è stato comunicato che il giornalista russo Nikolai Subbotin, analizzando i documenti declassificati del KGB, si è imbattuto in un fascicolo denominato “Orion” che conterrebbe preziose informazioni sulle attività dei nazisti in Antartide, prima e durante la seconda guerra mondiale.

Tra i suddetti documenti è venuta fuori una mappa che mostra le coordinate per raggiungere Agharti (Asgart nella mappa), il cosiddetto “mondo sotterraneo”, dove già intravedevano di creare la “Neu Berlin”.


Un’altra mappa mostra la Liberia, dove si possono notare le Isole Fera e di seguito la città di Shambala, capitale di “Agharti” (O “Aggharta” parola di origine buddista che significa: “non accessibile” e indica un mondo sotterraneo simile al nostro, con montagne e oceani, ambienti perfettamente vivibili e città con milioni di abitanti).


I monaci tibetani confermano, ancora oggi, che la città di Shambala esiste davvero, non sulla superficie del nostro Pianeta, ma nel suo interno. Questa mappa, in qualche modo, ne proverebbe sia l’esistenza, sia la posizione (E se si colloca accuratamente “un qualcosa” su una mappa, significa che è stata anche accertata l’esistenza di “quel qualcosa”). 

I nazisti, poi, non erano solo interessati al sottosuolo. Nell’aprile del 1942, diversi militari tedeschi, specializzati nell’utilizzo dei radar, furono spediti nell’isola baltica di Rügen, sotto la guida dello scienziato Heinz Fischer. I radar, tra lo stupore generale, anziché monitorare la flotta britannica, furono puntati verso il cielo con una prospettiva di 45° e così rimasero per parecchi giorni. Questa la giustificazione che fu data ai militari: «Noi non abitiamo l’esterno, ma l’interno del globo. Lo scopo della spedizione è dimostrare scientificamente questa verità».

Considerando anche i molti misteri che circondano il continente antartico (Compresa la sparizione di diversi “intrusi”), si comprende il motivo che porta, da diverso tempo, i governi mondiali ad avere così tanto interesse per una distesa di ghiaccio apparentemente desolata e inspiegabilmente dichiarata “patrimonio dell’umanità” (Con una settantina di basi, migliaia di militari e l’aggiunta di sedici tra piste e altre installazioni).

Questo interesse non passò inosservato, tant’è che la nota rivista francese “Science et Vie“, nel numero 510 di marzo 1960, dedicò un articolo dettagliato a questo fatto.

L’interrogativo fu posto proprio sul perché migliaia di militari di undici (Allora: 1960) Paesi (America, Argentina, Australia, Belgio, Francia, Giappone, Gran Bretagna, Norvegia, Nuova Zelanda e Russia) avessero in pratica circondato l’intero continente con le loro basi, vivendo a una temperatura media di -50° C.

Temperatura, tra l’altro, che obbligava (E obbliga) di tenere sempre accesi i motori dei veicoli terrestri e degli aerei. L’unica zona di circa 500 kmq che presenta una temperatura tra i 25° e i 30° C, è l’Oasi di “Bunger” che si affaccia sul Mare di Ross, circondata dalle basi americane e, opportunamente oscurata se si cerca, con Google Earth, d’ingrandirne i dettagli.

L’Italia è presente in Antartide dal 1986, con il programma “PNRA”, che nei soli primi venticinque anni aveva già superato il costo di 550 milioni di euro.


Un lavoro, (“stranamente” controllato anche dallo Stato Maggiore della Difesa italiano, considerati gli scopi ufficialmente dichiarati) che, oltretutto, potrebbe essere condotto da pochi enti di ricerca senza dover essere sviluppato da una pletora di pseudo “stazioni scientifiche” in una ripetizione di dati che, visto il patto di reciproca collaborazione sarebbe inutile e paradossale («[…] è prevista la cooperazione in essa anche nello scambio delle informazioni ottenute su territori che sono considerati patrimonio dell’umanità».
“Trattato Antartico” – 1959).

Quest’Oasi, è la stessa indicata dall’ammiraglio Byrd nel suo diario di bordo del 19 febbraio 1947, tra le ore 09:15 e le 10:30 ma, fu scoperta otto giorni prima dal tenente, pilota della Marina americana, David Eli Bunger l’11 febbraio 1947 e, dallo stesso giorno, prese il suo nome: “Oasi di Bunger”.

Da notare, che il susseguirsi di spedizioni americane al polo sud, protrattesi dal 1928 al 1947, indicano che sapevano perfettamente cosa cercare ma, non dove di preciso ed è possibile che fossero a conoscenza anche dei racconti del filosofo Claudio Eliano (165-235 d.C.) a proposito del satiro Sileno (“Storie Varie” III,18) che affermava l’esistenza di un popolo bellicoso deciso a conquistare il nostro mondo di superficie: i “Meropi”. Questo spiegherebbe, in parte, anche l’imponenza dell’Operazione Highjump del 1946, tanto da far pensare a una vera e propria operazione militare. 

Le scoperte dell’Operazione Highjump (Letteralmente: “salto in alto“) furono tenute nascoste. E, sebbene in contrasto con lo spirito del diario “attribuito” a Bird (È bene ricordare che si trovano versioni a volte discordanti sulle dinamiche ma, non sul tema fondamentale), il quotidiano cileno “El Mercurio” di Santiago il 5 marzo 1947 riportò: «L’ammiraglio Byrd ha dichiarato oggi che è d’importanza fondamentale per gli Stati Uniti attuare misure difensive contro la possibile invasione del Paese di mezzi aerei in partenza dai Poli». 
Dopo di ché, a parte le solite comunicazioni ufficiali di copertura, nessun’altra notizia è trapelata.

( Questa immagine e le tre successive sono immagini la cui autenticità è controversa - NdC -)

 Ora, per dare riscontro alle conclusioni di Symmes e di Reed, sui giganteschi “buchi” ai Poli, occorre chiamare in causa le foto satellitari.

Tra le poche disponibili (Immagini composite fatte attraverso diversi scatti), la più chiara è sicuramente quella scattata al polo nord il 6 gennaio 1967 dalla sonda ESSA-3 (Environmental Science Service Administration Satellite Program – operativa dal 02/10/1966 fino al 02/12/1968).

A un attento esame, tra l’altro, è evidente che le nuvole tendono a penetrare all’interno della cavità.

Un’altra immagine interessante, sempre riguardante il polo nord, è stata scattata tra il 22 febbraio e il 9 marzo 1966 dalla XIX “Mission of Columbia” USSS – STS-75, dove si notano chiaramente sia l’apertura, sia la depressione delle zone circostanti.

Curiosamente, inoltre, anche al polo nord c’è un’anomalia termica, una zona molto più calda catturata da un satellite con camera a infrarossi e questo ci porta automaticamente a pensare agli Iperborei (Iper-Borei = popolo che abitava “di là di Borea”, cioè “oltre il vento gelido dell’estremo Nord”).

Ciò che appare come una contraddizione (Non si va oltre il Nord se non andando in alto o in basso giacché, geograficamente, è un punto limite) non lo era né per Diodoro Siculo (“Biblioteca Storica” II, 47, 1): «Nelle contrade antistanti la Celtica, nell’oceano, c’è un’isola… abitata da quelli che hanno nome Iperborei… essa è fertile e produce ogni genere di frutti, si distingue per la mitezza del clima e dà due raccolti l’anno».

Né l’era per Plinio il Giovane (“Storia Naturale” IV, 89-90): «Oltre il vento del nord si trova un popolo fortunato, cui è dato il nome di Iperborei… Si crede che lì si trovi uno dei poli su cui il cosmo è imperniato… La zona è isolata e di clima felicemente temperato, esente da ogni aria nociva…». 

Questo popolo (Gli Iperborei, comparsi per la prima volta nella cartina di Anassimandro e citati per iscritto da Ecateo) scomodo per ciò che rappresentava, nonostante avesse avuto una grande e duratura famigliarità con i greci, stranamente scomparve dalla storia…

È sempre Plinio il Giovane a parlare anche di un altro popolo: gli “Attacori” che vivevano in una posizione simile a quella degli Iperborei: «Il popolo degli Attacori è protetto da ogni vento nocivo grazie a una corona di alture solatie e perciò dotato dello stesso clima di cui godono gli Iperborei (“Storia Naturale” VI, 55)».


Nell’estremo Nord non esiste alcuna terra chiusa da una catena circolare di montagne (Che, per essere di protezione da “ogni vento nocivo“, dovevano essere molto elevate), a dimostrazione del fatto che questi mitici popoli non si trovavano sulla nostra superficie ma, che potevano accedervi per vie fisiche abbastanza facilmente, tanto da giungere periodicamente fino in Grecia.

Passando al polo sud la situazione non cambia e due immagini satellitari molto particolari lo dimostrano.

La prima proviene dall’Istituto di Ricerca Ambientale del Michigan (Environmental Research Institute) ed è particolarmente interessante in quanto offre una vista fantastica della luce interna

La seconda è stata scattata dal satellite europeo ESR nel 1992 e, oltre alla cavità, dà un chiaro indizio su un divario non indifferente (870 miglia) tra la realtà e le mappe ufficiali (per essere più attendibile ve lo lascio in lingua originale): «These 3D radar pictures of Antarctica “South Pole” were provided by the European ESR satellite in 1992. They give a clue of the enormous gap in the South Pole which is 1/3 of the continent and swallows almost all the eighteenth parallel of the southern hemisphere “Ross Dependency“, therefore all the chains of mountains which are including: Royal society, Worcester, Britannia, Churchill, Queen Elizabeth, Queen Alexandra, Common Wealth, Queen Maud and Wisconsin are pushed over against Queen Maud land and are therefore 870 miles away from what is shown on the official maps».

Quanto sopra, per rispondere anche a un’affermazione pubblicata da Wikipedia nella pagina dedicata alla “Teoria della terra cava”, laddove alla voce “Evidenze visive” è scritto: “Le aperture in prossimità dei Poli previste dalla teoria dovrebbero essere presenti nelle immagini rilevate dai satelliti, ma ciò non avviene“.

In ogni caso, le Terre Cave, i tunnel sotterranei che le collegano, le aperture ai Poli e gli straordinari meccanismi che le regolano, non sono una novità né recente, né di pochi secoli fa. 
Troviamo tutto descritto in uno straordinario passo del “Fedone” (111c-112b) di Platone ma, chiaramente, è il frutto dell’eredità traghettata dai pitagorici: «Dentro la terra, lungo le cavità che la circondano tutta, vi sono molti luoghi, i quali, rispetto a quello che abitiamo noi, sono, alcuni più profondi e aperti, altri, invece, più profondi e più stretti e altri, poi, sono meno profondi e più estesi. 
E, questi luoghi sono collegati tra loro da sotterranee aperture in più punti, alcune più piccole e altre più grandi; e ci sono passaggi dai quali scorre molta acqua…

E da questi fiumi ciascuno di quei luoghi è riempito, secondo che, di volta in volta, in ciascuno di essi si formi la corrente. E tutte queste correnti di acqua le spinge in su e in giù una sorta di oscillazione che c’è nel seno della terra, oscillazione dovuta a una causa di particolare natura. 
Tra le voragini della terra ce n’è una, che è la più grande di tutte, e che passa attraverso tutta la terra… Infatti, tutti i fiumi s’inabissano dentro questa voragine e poi di nuovo da essa rifluiscono, e ciascuno di essi diventa poi della stessa natura della ragione attraverso la quale scorre. La causa per cui queste fiumane laggiù s’inabissano e poi di nuovo si riversano fuori, è che tutta questa massa di acque non ha un fondo né un sostegno, e oscilla e fluttua in su e in giù».

Il “Fedone” è ricco di particolari interessanti e, sebbene riportati di seconda, terza, o quarta mano, mantengono intatta l’evidenza che “qualcuno” ha visto direttamente quanto descritto. E, poiché Platone parla di “sotterranee aperture”, prima d’affrontare il nocciolo della questione (Le sette Terre Cave), è bene sviscerare molto sinteticamente pure quest’argomento, giacché rientra nel tema e ci porta anche alla tanto discussa “Area 51”.

Periodicamente l’archeologia c’informa su nuovi ritrovamenti (L’ultimo a me noto è del 2014, apparso sul “Daily Mail” dove il ricercatore tedesco Heinrich Kusch parla, dopo la recente scoperta fatta in Baviera, di un’antica rete di tunnel sparsi in tutta Europa, dei quali uno collegherebbe la Scozia alla Turchia). Molti sono anche gli autori che ne hanno diffusa l’esistenza, in modo dettagliato, nei loro libri (Peter Kolosimo, Lambert Karner, Alec Maclellan, ecc…) rilevando, come «[…] tutto il nostro pianeta sia solcato da tunnel. 

Ne troviamo oltre che nell’America meridionale, in California, in Virginia, nelle Hawaii, in Oceania, in Asia, in Svezia, in Cecoslovacchia, nelle Baleari, a Malta, ecc…». Allo stesso modo, anche le tradizioni di tanti popoli ne confermano l’esistenza.

In particolare quella degli Incas che descrivono ciclopici tunnel con le pareti rivestite d’oro, che hanno trovato già fatti e che hanno utilizzato per diverso tempo (Il più noto sarebbe “La strada degli Inca” in Brasile, lungo 4000 Km).

Tali gallerie, correrebbero anche sotto i fondali oceanici e, Apache, Sioux e Mandan, affermano che sarebbero state realizzate da “giganti di pelle chiara” («C’erano i giganti a quei tempi e anche dopo… » [Genesi 6,4]) e collegherebbero il mondo di superficie con quello sotterraneo posto, secondo loro, a Oriente.

Di fronte alla ricchezza di particolari di queste tradizioni, la testimonianza del colonnello Bill Faye Woodard, a proposito dell’Area 51 (S-4) non desta alcuno stupore.

Premesso che la posizione di quest’area, in una zona desolata del Nevada, non è stata scelta a caso ma, si trova al centro di un’intersezione di percorsi sotterranei, descritti e, utilizzati, da Aztechi, Navajo e Hopi, traggo alcuni particolari dalle rivelazioni di Woodard (La parte integrale potrete facilmente reperirla in Rete): «[…] Fui collocato all’Area 51, Nevada, il 28 gennaio 1971 fino al 1982. In quel periodo di servizio visitai l’Interno Cavo della Terra alla profondità di 1300 Km, sei volte. Appena arrivato all’Area 51, fui istruito sull’esistenza di tunnel sotto questo sito e subito dopo incontrai molti degli Operatori degli Shuttle sotterranei che hanno una statura di poco oltre i 4 metri…

Loro mi dissero che i primi 15 livelli dell’impianto dell’Area 51, sono stati fatti dall’uomo; che i livelli dal 16 al 27 erano già lì, Nessuno del nostro governo li fece. Noi li stavamo solo utilizzando… I muri dei tunnel sono molto lisci… hanno quella che può sembrare una finitura marmorea che è fatta di una strana sostanza metallica impenetrabile; la superficie dei muri non può essere penetrata né da un trapano al diamante né da un laser… C’è una rete di tunnel sotterranei che va in Europa, Sud America e diversi altri continenti. E c’è un dispiegarsi di questa grande rete di tunnel attraverso il globo, di cui molti governi fanno uso».

Sacrosante, allora, le parole di Raymond Bernard (“Il Grande Ignoto” – 1972) a proposito delle teorie di Reed e Gardner: «[…] la teoria sulla Terra vuota non è sconosciuta ai leader di governo e ai capi militari, come non è sconosciuta la conferma, datane da Byrd; ma bisogna fare finta di niente e soprattutto non parlarne apertamente». Come si legge in altri documenti, infatti, tutto è coperto dal “massimo segreto militare”. Anche il brevetto di Gardner (n° 1096102 – maggio 1913) che sarebbe servito per dimostrare l’esistenza della Terra Cava, fu immediatamente dichiarato “il più grande segreto militare di tutti i tempi“!

Tutto questo ci porta automaticamente a pensare al “Programma Spaziale” come a una vera e propria presa in giro. Fumo negli occhi del pubblico per mascherare i veri scopi verso i quali sono destinati le migliaia di miliardi di stanziamenti («Quando hai il potere non devi dire la verità. Questa è una regola che è stata tramandata in questo mondo da generazioni [Dr Dean Burk]»).


 Sputnik 1 -->

I risultati ottenuti in cinquant’anni (Il Programma Spaziale è iniziato nel 1957 con il lancio dello Sputnik 1) sono perfettamente conosciuti e riportati nei miei precedenti articoli: “Balle Spaziali” e “Le foto della Nasa su Marte sono terrestri“.

Ancora non sono riusciti a realizzare tute adeguate per gli astronauti (2017 - NdC); il record raggiunto in altezza dalla missione “Orion” è di 5790 km; i rover gironzolano e fotografano le parti più remote e inospitali della Terra, facendole passare per marziane.

Si aggiunga che manteniamo una “Stazione Spaziale Internazionale” in compartecipazione con quindici Paesi diversi, il cui scopo ufficiale è: «quello di sviluppare e testare tecnologie per l’esplorazione spaziale, sviluppare tecnologie in grado di mantenere in vita un equipaggio in missioni oltre l’orbita terrestre e acquisire esperienze operative per voli spaziali di lunga durata, nonché servire come un laboratorio di ricerca in un ambiente di microgravità, in cui gli equipaggi conducono esperimenti di biologia, chimica, medicina, fisiologia e fisica e compiono osservazioni astronomiche e meteorologiche». 
E, non dimentichiamoci che, le tute che usano gli astronauti dell’ISS (Realizzate quarant’anni fa per una durata di quindici anni), sono scadute da un quarto di secolo.

L’interesse e i fondi sono chiaramente rivolti da tutt’altra parte, all’interno della Terra, con il consenso unanime dei governi, per un motivo molto “semplice”: Galassie e Soli lontani migliaia di anni luce sono solo baggianate, inclusi i 2326 pianeti (Riportati da esperti e media) vivibili come la Terra che, pur gratificando l’illusione che non siamo soli nell’Universo, in questo modo sono impossibili da raggiungere.


Lo “spazio” come ci hanno insegnato e, come vorrebbero che lo pensassimo, non esiste: anche il nostro “firmamento” è solido e limitato «La Terra dista dal Cielo quanto dal Tartaro tenebroso (Esiodo in “Teogonia“).

Il suo raggio medio è stimato in 6371 Km e la missione “Orion”, che guarda caso si chiama come i documenti declassificati del KGB, non ha superato i 5970 Km. Perché?)».

D’altra parte, se lo “spazio” fosse aperto e infinito come vorrebbero farci credere, non ci sarebbe pressione atmosferica e la sola forza di gravità non potrebbe trattenere alcun gas. Se poi, per assurdo potesse farlo, di fatto, non ne avrebbe la capacità, perché non esiste nessun tipo di gravità: la Terra osservata ai Raggi X non ha gravità. La Terra osservata tramite le onde sismiche appare disomogenea e senza gravità. La Terra, osservata dalle sonde spaziali in EUV (Estremo ultravioletto), non ha gravità.

Qualsiasi cosa, poi, che non possa essere osservata in tutte le frequenze non può definirsi né reale, né assoluta. Newton stesso, già accantonato da molti, è sempre stato consapevole che la sua scoperta non poteva essere d’aiuto per risolvere i misteri insiti nel Pianeta e non ne fece mai un mistero. Propose, infatti, la gravità come “Questione” e non come legge fisica.

L’atmosfera (Come l’acqua) aumenta costantemente il suo volume in un processo di degassamento del mantello e, di conseguenza, aumenterebbe anche la pressione se a controbilanciarla non intervenisse la “Tettonica di Espansione 1 – 2 – 3” (Formulata per esteso dal Geologo australiano, Dr James Maxlow) la quale si basa sulla fondamentale premessa che, nel corso della storia, il raggio della Terra sia costantemente aumentato. «Tramite l’impiego di moderni dati geologici e geofisici globali si è dimostrato che la nostra Terra è stata soggetta a un’espansione costante durante il Supereone Precambriano, prima di un’espansione in rapida accelerazione nel corso di ere più recenti».

Possiamo così dedurre che, tale processo, sia esteso a tutti i “gusci” delle varie Terre Cave e che, nel tempo abbia, altrettanto costantemente, allontanato quei “cieli a portata di mano da dove era possibile estrarre i metalli, o costruire torri per raggiungere gli dei” descritti dagli antichi popoli, dando ragione anche ai Navajo sulle motivazioni che abbiano provocato la distruzione dei primi tre mondi sotterranei. Compreso il Diluvio universale che proprio qui acquisterebbe, nello stesso corpo causale, la sua autenticità. Non per nulla il termine ebraico con cui il firmamento era indicato “Raqia”, era tradotto con “espanso”.

Anassimandro (610-546 a.C. ca.), che influenzò il pensiero di Socrate (469-399 a.C.), fu molto preciso sull’importanza del “cielo solido” e, indirettamente, anche dell’atmosfera, per tenere la Terra al centro del suo sistema. E, in aggiunta, ne specificò anche la forma «Se la terra sta nel mezzo del cielo ed è rotonda, non le occorre né l’aria per non cadere, né altra necessità del genere, perché a trattenerla è sufficiente l’uguaglianza del cielo con se stesso (Riportato da Platone nel “Fedone” 108E)». Ciò che se ne trae è che il cielo e la Terra devono avere la stessa forma per mantenere un uguale equilibrio e, questo, si ripercuote su tutti gli altri “gusci”.

La scienza moderna finalmente ammette di avere individuato questi “gusci” osservando la propagazione dei sismi, e ha riscontrato che non sono legati tra loro come si credeva in precedenza, ma separati da vuoti (Gap) di diversi chilometri, oggi individuati molto bene. A tali “gusci” e vuoti, sono stati assegnati dei valori, espressi in chilometri, che tuttavia non possono essere attendibili, perché non bisogna dimenticarsi della “sorta di oscillazione che c’è nel seno della terra, oscillazione dovuta a una causa di particolare natura“, riferita da Platone, che sicuramente interferisce storpiandoli.

La verità, allora, è che anche noi, senza saperlo, viviamo nella nostra “porzione” di Terra Cava! Su uno dei gusci… e non è una novità.

Platone fu molto chiaro in proposito (“Fedone” 109C – 110A): «Pur abitando nelle cavità della terra, noi non ce ne accorgiamo e siamo convinti di abitare sulla superficie della terra, come se uno, abitando nel mezzo della profondità del mare, credesse di abitare sopra la superficie del mare». La stessa illusione si ripete nelle altre cavità sottostanti: «Abitando giù in una delle cavità della terra, crediamo di abitare sopra la terra, e chiamiamo aria il cielo, come se proprio questo fosse il cielo attraverso il quale si muovono gli astri». I due punti fanno una netta distinzione tra la nostra superficie e un’altra qualsiasi posta giù, sotto di noi.

Cicerone (“Somnium Scipionis, De re publica“, VI, 17), che chiama il Sole “misura dell’universo” (E ricorda d’appresso la “caverna” riflettente, scoperta della sonda IBEX della NASA, che è molto più vicina a noi di quanto si possa immaginare: «Ci sembra di esplorare una caverna misteriosa» affermò Arik Posner, direttore del programma IBEX della NASA. «Osservando IBEX, ci accorgiamo che il sistema solare è come una candela, le cui luci sono riflesse sulle pareti della caverna e riflesse verso di noi».

Posner confermò così la corretta definizione di: “sala specchi”.), sebbene chiaramente influenzato dall’imperfetto sistema aristotelico-tolemaico, ci fornisce altre due conferme importanti: «Eccoti sotto gli occhi tutto l’universo compaginato in nove orbite, anzi, in nove sfere (nono cielo aggiunto da Tolomeo alle otto sfere mobili di Aristotele). Una sola di esse è celeste, la più esterna, che abbraccia tutte le altre: è il Dio sommo che racchiude e contiene in sé le restanti. In essa sono confitte le sempiterne orbite circolari delle stelle, cui sottostanno sette sfere che ruotano in direzione opposta, con moto contrario all’orbita del cielo (Qui, essendo un concetto impossibile da dimostrare, richiamerei l’esempio posto all’inizio di un altro mio articolo precedente: “Il Treno, la Mosca e la Terra Immobile“)».

Prima di tirare le somme e di completare un puzzle che abbraccia cinquemila anni di: storia, scienza, filosofia e tradizioni dei popoli della Terra (Un patrimonio che non può essere gettato alle ortiche per soddisfare le ambizioni di pochi), è bene ricordare sinteticamente che: il “mappamondo babilonese” è formato da una stella a sette punte, rappresentante i sette livelli della Terra; che “La Grande Opera” dei pitagorici era rappresentata anch’essa da una stella a sette punte, di cui (Abbastanza significativo) la prima era anche l’ottava. Che nel “Mito pelasgico della creazione” il serpente Ofione si avvolge sette volte attorno all’Uovo primordiale dal quale nacque il Kosmos. E, infine, che il settenario è universalmente presente in ogni manifestazione.

Sempre a proposito del settenario se, invece di accanirsi sulla “Tavola Settenaria” (che “Tavola” non è) per scovare i numeri del Lotto, si cercassero tutte le sue chiavi di lettura, non ci sarebbe bisogno di tanti discorsi, per comprendere la realtà espressa dalle perfette sequenze dei suoi numeri.

Pertanto, possiamo affermare che il nostro Universo, non è infinito, non è vasto miliardi di anni luce, non è complesso e complicato come è stato inteso finora solo dai “non addetti ai lavori”. Sette “gusci”, che potrebbero anche essere definiti “sette Terre Cave”, formano tutto il nostro Universo, in sintonia con l’estrema semplicità del cosiddetto “creato”. 

Sette “ambienti” vivibili e/o che hanno accolto normalmente la vita, giacché l’aumento costante della temperatura, scendendo sempre più in basso all’interno della Terra, è un’altra baggianata che non può reggere, perché se così fosse sarebbe già esplosa come una pentola a pressione. 
Sette “sfere” che non presentano alcun rigonfiamento all’equatore, dovuto una sbandierata rotazione che è inesistente, ma che sono schiacciate ai Poli (Si rivedano le immagini satellitari) per l’azione depressionaria esercitata dagli unici corpi che veramente ruotano nell’intero sistema: antiorario l’Inner Core e orario l’Inner – Inner Core. Sette “sfere” frattali, oltre le quali non si può andare, se non per essere riassorbiti nell’Unità.

Sette Terre Cave, con luminari diversi, laddove ogni apertura polare è in diretta corrispondenza con le altre: «Un unico Sole anima i mondi e un’unica luce li illumina tutti (Giordano Bruno)».



Così, gli “infiniti mondi intelligenti” (Come anche gli Universi) non sono distanti come fa credere la NASA ma, sono “distinti“, qui presenti, invisibili perché composti di generi di energia (Erroneamente intesa come materia) che vibra su altre frequenze e non riflettono la luce elettromagnetica. 

La Terra, infatti, osservata in estremo ultravioletto scompare (Si veda il cerchio nero), non esiste, mentre sperimentiamo quotidianamente la sua realtà fisica. Universi nascosti dalla nostra stessa credulità nelle “certezze” accademiche.

La Terra in estremo ultravioletto

Restano solo due quesiti da risolvere. Il primo: su quale delle sette Terre Cave viviamo? 

Qui si possono formulare solo delle ipotesi. Se prendiamo per genuine le tradizioni Navajo e le affermazioni di Symmes, dovremmo essere sulla quinta. Allora, se così fosse, ecco il secondo quesito: c’è qualcuno che vive nelle due sopra di noi e come si fa per accedervi? Magari il vero scopo della Stazione Spaziale Internazionale è proprio quello di scoprirlo…

Roberto Morini – Fisico Nucleare


Fonte: www.altrogiornale.org (articolo off line)
Altra fonte: extrapedia.org

*L'articolo è stato già pubblicato qui il 23/09/2017 

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