lunedì 23 agosto 2021

Uomini veri e sub-umani. La psicologia è tribale

Per i conquistatori spagnoli i nativi americani erano pappagalli senz’anima. Per i nazisti gli ebrei erano parassiti. Per gli hutu in Ruanda i connazionali tutsi erano scarafaggi.

In tempi recenti è toccato alla ministra della giustizia francese, Christiane Taubira, essere paragonata a una scimmia, come era accaduto qui a Cécile Kyenge.

L’odioso vizio di negare l’umanità di avversari e nemici non è circoscritto ai periodi più drammatici della storia, né al comportamento di pochi razzisti. 

Un numero crescente di studi suggerisce che il problema sia profondo, subdolo, universale.

E’ come se avessimo nel cervello un misuratore di umanità arbitrariamente tarato sul nostro senso di appartenenza (etnica, sessuale, politica, persino calcistica)...


I disegni sono di Charles Le Brun (Parigi, 24 febbraio 1619 – Parigi, 22 febbraio 1690)

La conseguenza è che tendiamo – chi più chi meno – a disumanizzare gli outsider, a percepirli come in preda agli istinti o incapaci di sentimenti, in ogni caso meno umani di noi. 
Uno studio in uscita sul Journal of Experimental Social Psychology dimostra che se guardiamo su un monitor una bambola che acquisisce lentamente sembianze umane, crediamo di riconoscerne l’umanità prima se pensiamo che quella faccia appartenga a un membro del nostro gruppo.

La cattiva notizia è che questi meccanismi scattano automaticamente, basta essere divisi in due squadre con un lancio di monetina.

Le buone notizie sono due.

Abbiamo tutti qualcosa in comune l’uno con l’altro e i pregiudizi regrediscono quando ce ne accorgiamo.

Inoltre chi disumanizza l’altro poi si sente un po’ meno umano anche lui.

(Pubblicato su Corriere - La Lettura il 23 marzo 2014)

Fonte: lostingalapagos.corriere.it

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