lunedì 7 agosto 2017

Riflessioni sulla Via iniziatica

La conoscenza iniziatica, misterica, allude ad una realizzazione interiore e non ad un sapere teorico. E’ il risultato di un lavoro e non il frutto di letture. Per usare un’immagine, è il viaggio e non la mappa del territorio. “Post Laborem Scientia” ripetevano gli alchimisti.

Questa Conoscenza dunque, per sua stessa intrinseca natura non può in alcun modo essere profanata, perché si tutela da se stessa. Parlarne la copre di un nuovo velo, che richiede uno sforzo intuitivo per essere sollevato.

È necessario, però, che la parola risuoni in chi l’ascolta, che trovi una corrispondenza, affinché il processo possa mettersi in moto senza rimanere una mera astrazione concettuale. La verità iniziatica, così come la pratica operativa, si rivela a chi può intuirla; come per i simboli, ciascuno ne comprende solo ciò che il proprio grado di risveglio interiore gli permette di intuire.

La Conoscenza è sempre una conquista personale: questo vuol dire che la verità si “difende” da sé, poiché non ha bisogno di paladini. Va bene inteso, però, che parlare di certi temi non ha niente a che vedere con il chiacchiericcio fine a sé stesso. Certe conoscenze, riferendosi a ben precise esperienze interiori, non possono essere rese altrimenti che attraverso “immagini”, mancando la parole adatte per esprimerle. 

Come diceva un vecchio Ermetista, “Colui che invoca il segreto è il più sicuro custode di esso, poiché in realtà non ne sa nulla” ...


Ecco cosa rispondeva Evola a Guido de Giorgio (Havismat), che voleva far cessare la pubblicazione dei fascicoli, nelle glosse varie (“Il maestro, la magia ed il canto”) del quarto capitolo del secondo volume di Ur:

“Quanto all’assurdo relativo al parlare di magia, o iniziazione, in scritti alla portata di tutti, esso, in fondo, è relativo perché, anche con la migliore volontà, scritti del genere non saranno mai alla portata di tutti. Se mai, quando è della divulgazione dei metodi di una magia applicata che si tratta, la questione, posta da alcuni concerne l’opportunità e la pericolosità in ordine ai pochi – anche in questo campo si tratta sempre di pochi – che possono metterli davvero in azione, non avendone saputo prima. Ma ciò rientra in un campo di semplice responsabilità personale né più né meno che ognuno può fare già di un’arma da fuoco o di un tossico”. 

Invocare il “segreto”, dal nostro punto di vista è, nella maggior parte dei casi, solo un alibi per non entrare nello specifico delle questioni, trincerandosi nel tentativo di difendere la propria “parrocchia”.

Dove sono, oggi, i collegi sacerdotali? Dove le sedi dei Misteri? Dove le regolarità iniziatiche? Attraverso questa via si entra solo nel campo dell’autoreferenzialità, delle bolle e dei “testamenti”, che nulla hanno a che vedere con la trasmissione iniziatica, e si finisce con l’impelagarsi nelle sterili ed infinite discussioni che appassionano i borghesi dell’esoterismo. Chi il profano? Chi l’Iniziato? Chi può oggi arrogarsi il diritto di stabilire chi sia l’uno o l’altro? Con chi parlare e con chi non farlo? I tempi ultimi sono quelli in cui tutto si confonde, in cui le “caste” si mescolano, in cui l’oro si nasconde nel piombo e la perla preziosa nel fango; sono i tempi in cui, se non si fa attenzione, è forte il rischio di scartare tra le pietre comuni anche la testata d’angolo. Non possiamo mai conoscere la reale natura interiore di chi abbiamo di fronte. Come nel romanzo di Malory, la stirpe regale di Artù non era a tutti nota. Bisogna che si comprenda come fare i conti col proprio tempo poiché, che ci piaccia o no, siamo oggi nell’epoca dell’individuo, nella quale ciascuno deve imparare ad essere giudice di se stesso.

Chi segue un cammino iniziatico, d’altra parte, sa che nei momenti di crisi, quando sale la marea, è necessario che le porte del santuario segreto si aprano: a cosa serve arroccarsi nel proprio sapere mentre la nave affonda? 
Se un tempo la Conoscenza iniziatica veniva tutelata attraverso la riservatezza, oggi, con l’informazione massiva che attraverso la rete permette l’accesso ad ogni tipo di conoscenza, bisogna fare esattamente il contrario. Diventa quindi necessario indicare un filo d’Arianna che permetta al cercatore sincero di non smarrirsi nel labirinto e di non cadere vittima del sensazionalismo mistico della new age.

Questo “filo” consiste nella conoscenza di sé. Niente a che vedere però con la moderna psicologia; intendiamo alludere piuttosto al processo “scientifico” che porta ciascuno di noi a sperimentare, impersonalmente, la natura, le facoltà e per così dire la chimica della nostra Anima. Come ci suggerisce l’immagine del serpente che si morde la coda, si tratta di volgere completamente la propria attenzione dentro di sé, di penetrare nelle profondità del proprio io per sollevare il velo che ci nasconde il mistero della nostra origine.
Julius Evola introduce le monografie di Ur con queste parole:

“Nella vita di alcuni uomini vi sono momenti, in cui essi sentono vacillare tutte le loro certezze, venir meno tutte le loro luci, tacere le voci delle passioni e degli affetti e di quanto altro animava e muoveva la loro esistenza. Ricondotto al proprio centro, l’individuo avverte allora a nudo il problema di ogni problema: chi sono io? 
Sorge allora, quasi sempre, anche il senso che tutto ciò che si fa non solo nella vita ordinaria, ma altresì nel campo della cultura, in fondo serve solo per distrarsi, per crearsi la parvenza di uno scopo, per avere qualcosa che permetta di non pensare profondamente, per velare a se stessi l’oscurità centrale e per sottrarsi all’angoscia esistenziale. 
In alcuni casi una crisi del genere può avere un esito catastrofico (…) Altri, però, tengono fermo. Qualcosa di nuovo e di irrevocabile si è determinato nella loro vita. Intendono spezzare il circolo chiusosi attorno a loro. Essi si staccano dalle fedi, si staccano dalle speranze. Vogliono dissipare la nebbia, aprirsi una via. Conoscenza di sé, ed in sé, dell’Essere – ciò, essi cercano”.

A chi guarda con attenzione non sfuggirà che i tempi in cui ci troviamo a vivere, caratterizzati dalla perdita di ogni superiore punto di riferimento, sono particolarmente propizi per sperimentare questa crisi interiore e prendere coscienza di sé; l’umanità sta affrontando la propria “opera al nero”, e non bisogna dimenticare che QUANDO CRESCE IL PERICOLO CRESCE ANCHE CIO’ CHE SALVA.

Può perciò accadere proprio in questi tempi che nell’Uomo, che magari non ha mai letto Evola o Kremmerz e che non sa nulla della Tradizione, si affacci prepotente l’esigenza di destarsi dal torpore del vivere quotidiano. Viviamo costantemente sul “filo del rasoio”: da una parte il cieco materialismo e dall’altra l’astratto spiritualismo; ma il pericolo di precipitare desta per alcuni attimi la nostra coscienza. La condizione che un tempo si costruiva attraverso un lungo processo iniziatico, e che conduceva il discepolo a sperimentare l’oscurità della morte, viene oggi esperita dall’Uomo nella sua vita quotidiana.
Si tratta di lampi, di squarci fugaci, che bisogna avere il coraggio di afferrare al volo per poi usarli come punti di partenza del proprio cammino. 

Si deve comprendere che CIO’ CHE UCCIDE E’ LO STESSO DI CIO’ CHE SALVA; perciò, invece di cercarsi dei supporti esistenziali per sfuggire alla crisi interiore, bisogna trovare la fermezza necessaria per attraversare il deserto e trasmutare il veleno in farmaco.

Una Via eroica, indubbiamente, ma la sola che si addica ai tempi ultimi. Dietro l’angoscia, la depressione, il mal di vivere, che caratterizzano la nostra epoca più di ogni altra, si nasconde sempre la stessa domanda: chi sono io? Ecco l’interrogativo pressante a cui occorre trovare una risposta senza intellettualismi, quanto, piuttosto, con la pratica.

Per questo invece di volgere l’attenzione al passato, è indispensabile una più profonda comprensione dei tempi in cui viviamo. Ecco perché è necessario parlare, oggi più che mai. Conoscere se stessi, significa trasmutarsi.

In un film che nulla ha a che fare con i nostri studi, il protagonista ad un certo punto della vicenda afferma: “Mi sono reso conto che cercare dio era solo un’altra scusa per non cercare me stesso”. Senza voler urtare la sensibilità religiosa di alcuno, questa ci sembra una questione estremamente importante. La mentalità scientifica, infatti, fa sì che all’Uomo non basti più credere. Cosa possiamo saperne noi del “di là”, se prima non conosciamo il mistero della nostra stessa anima? Quale certezza possiamo avere della conoscenza umana, se prima non conosciamo questa conoscenza stessa e la natura profonda dello strumento attraverso cui questa si compie?

In tutti i nostri interventi, così come negli incontri pubblici, abbiamo sempre messo al centro il “mistero dell’Uomo”, ed abbiamo parlato dell’Iniziazione come di una vera e propria scienza dell’io, una disciplina interiore assolutamente impersonale che deve condurre l’individuo a prendere coscienza delle facoltà latenti del suo essere, indagando le radici profonde delle strutture che compongono il nostro pensiero, il nostro sentire, la nostra volontà.

L’ermetismo non ha niente a che vedere con il dogmatismo religioso; questi due aspetti un tempo camminavano insieme, ma oggi non più, non essendo più necessario. “La nostra è una scuola di materialismo psicologico” afferma il Kremmerz, un atteggiamento rigorosamente scientifico e sperimentale, che nulla ha a che vedere con la legittima sensibilità religiosa di ciascuno.

L’ultimo grande esempio di questo iter magico – sperimentale è stato, in Italia, il gruppo di Ur che, nel nome della Ricerca, riuniva praticanti provenienti da ogni percorso.


Non accade lo stesso oggi. La maggior parte dello scenario ermetico attuale, infatti, appare sempre più frammentato in gruppi, conventicole e “parrocchie” di ogni tipo. Fa sorridere come ogni novello praticante si elegga subito a maestro, allestendo così sistematicamente una nuova, ennesima struttura.

Ciò rivela il dogmatismo come il “demone” più pericoloso del pensiero umano, generato dalla non conoscenza di sé.

La mancanza di un centro impone, così, la necessità di appoggiarsi ad una forma esterna. Il primo compito del cercatore, come abbiamo più volte sottolineato, si rivela quello di volgersi alla conquista dell’assoluta indipendenza dello Spirito, assimilabile al vento, soffio che anima tutte le cose.

La via dell’Io non ha niente a che vedere con il superomismo, con l’esaltazione dell’ego che aspira a possedere l’universo dentro di sé. Novalis scrive del discepolo che, sollevato il velo di Iside, con grande meraviglia non scopre che sé stesso, realizzando così l’esperienza cosmica dell’Io. E’ questa la grande intuizione dell’idealismo, apice del pensiero occidentale, che non si è avuto il coraggio di tramutare in pratica.

“Ti apparirò come uccello, ti apparirò come sinuosa danzatrice e come ascia insanguinata. Ti apparirò come ruota, come fiamma, come dio. Ma tu non riconoscerai te stesso reso perfetto”. 

Il mondo è la manifestazione del nostro Io, e per attraversare l’opera al nero, impresa che questi tempi ci chiamano a compiere, bisogna essere consapevoli che non ci verrà a salvare nessuno: dovremo salvarci da soli.

Postilla: Abbiamo voluto, con queste poche righe, ribadire l’importanza primaria che per noi riveste la pratica operativa, in quanto i social network sono e restano esclusivamente luoghi di confronto.

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